Sono passate due settimane da un’indiscrezione di cui forse non si è parlato abbastanza. Milan-Como, in programma a inizio febbraio, potrebbe disputarsi in Australia. Il pretesto è l’indisponibilità di San Siro a causa della cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina. Usiamo la parola ‘pretesto’ perché si potrebbe giocare in mille altri stadi italiani. Invece il Milan e la Lega vogliono andare all’estero. “Eh, ma ormai il calcio è questo”, dicono alcuni. No, il calcio non è ancora questo, infatti non è mai successo che una partita di Serie A si giochi oltre le Alpi, figurarsi dall’altra parte del mondo. Sarebbe un evento senza precedenti, totalmente contrario all’essenza del calcio. E la nostra idea è che tifoseria e media debbano farsi sentire e indurre Suwarso a rifiutare.
Ne abbiamo parlato con Stefano Cecchi, giornalista fiorentino noto per i suoi interventi a Radio Sportiva difendendo gli antichi valori del calcio. L’avevamo già intervistato a novembre, a pochi giorni da Como-Fiorentina, spaziando da Nico Paz a Borgonovo (leggi QUI).
Cecchi, un romantico come lei cosa ne pensa di quest’ipotesi?
“Sarebbe l’inizio della fine di un modo di concepire il calcio. Il calcio in Italia è meraviglioso perché c’è un senso di identità e di appartenenza. Se io tifo Milan o Como, casa mia è San Siro o il Sinigaglia. Quest’idea di esportare il prodotto oltre la passione dei tifosi è devastante, devastante. Perché un tifoso milanista che fa l’abbonamento dovrebbe vedere una partita in meno? Solo perché la passione e l’identità vengono messe in secondo piano? Il rischio è che il calcio diventi circo: qualcosa da portare all’estero, non come qualcosa che appartiene alla cultura di questo paese, che vede in una squadra di calcio un pezzo forte di una città. Mi ricorda Buffalo Bill che viene in tournée in Italia a fare il suo rodeo. Avete una realtà bellissima, un’idea di calcio alta, vi piace quest’idea che il Como non sia più patrimonio di Como ma diventi qualcosa da esportare nel mondo? Mi sembra l’inizio di una deriva devastante“.
E forse se ne è parlato troppo poco, di quest’eventualità. Era una notizia da prima pagina.
“Anche secondo me. Probabilmente il fatto che l’evento sia lontano nel tempo ha un po’ tolto ‘urgenza’ alla notizia“.
Mi chiedo: anche a livello di business, siamo sicuri che sarebbe un guadagno e non una perdita a lungo termine? Se in Australia guardano la Serie A è anche per il fascino di un evento lontano e irraggiungibile. Se noi la Serie A gliela portiamo lì, questo fascino si perde.
“Bravissimo! La gente viene in vacanza sul Lago di Como, no? Se tu per assurdo prendi un pezzo del lago e lo porti in Australia, perde di valore. Gli Uffizi sono meravigliosi perché sono a Firenze: se li portassi in giro per il mondo, non sarebbero più gli Uffizi e perderebbero magia. Il calcio è questo: una piccola magia artigianale che trova la sua culla naturale in chiese laiche chiamate stadi. Se si porta in giro, si perde quest’essenza“.
O un po’ come il Giro d’Italia e il Tour de France che partono dall’estero.
“Infatti, non ha senso. Io amo il ciclismo. L’anno scorso il Tour è partito dalla mia Firenze: da una parte ero contento, dall’altra mi chiedevo ‘che senso ha?’ Le ragioni dello spettacolo e del business sono diverse da quelle del cuore“.
Secondo lei c’è il rischio che dopo aver sdoganato la Serie A all’estero una volta, la cosa diventi sempre più frequente?
“A questo punto dipende da quanti soldi arrivano… Ci si fa attrarre da questo luccichio, che però è venefico. Già la Serie A è in difficoltà, portarla in giro peggiora le cose. E’ un po’ come mangiare all’estero la bistecca o il piatto tipico comasco: ha un altro sapore“.
Cosa dice ai comaschi che sono tutto sommato favorevoli a questa ipotesi?
“Ogni opinione è legittima, ci mancherebbe. Per me il Como è e deve rimanere di voi comaschi. Poi se viene il VIP allo stadio meglio, ma non può essere quello il fulcro“.