Non è solo un giornalista, un opinionista, uno scrittore. Stefano Cecchi è molto altro. E’ uno degli alfieri della fiorentinità calcistica – o della “violitudine”, come la chiama lui – nonché uno dei paladini di chi si oppone al calcio moderno pieno di calcoli, inglesismi, coppe insensate, orari a spezzatino e squadre U23. Per lui il calcio non è questa roba qua: è passione, è valori, è tradizione. E ama raccontarlo col sorriso, senza la presunzione di avere la verità in tasca. E’ stato quindi interessante chiacchierare con lui a pochi giorni da Como-Fiorentina e immergersi nella sua visione delle cose così peculiare.
Allora Cecchi, ci dica un po’, che aria tira all’ombra della cupola di Brunelleschi?
“Il clima è di euforia. Dopo tanti anni la Fiorentina ha questa classifica dolomitica e in quest’aria rarefatta la città sta sognando“.
In vista della trasferta di Como c’è un po’ di timore che la sosta abbia spezzato l’incantesimo, oppure serviva fermarsi un attimo visti i tanti impegni?
“Dal punto di vista emozionale è stata una frenata perché stavamo vincendo sempre. Però nelle ultime partite la squadra era molto stanca, tanto che Palladino ha dato un’intera settimana libera, quindi potrebbe anche averci fatto bene. Lo dirà il campo“.
Lei era tra i tanti che ad agosto, commentando il nostro calciomercato, parlava di “figurine”. Ha cambiato idea?
“All’inizio sembrava una sorta di collezione di ex campioni. Il campo ci ha raccontato che il Como è altro. E’ una squadra vera, ha un’identità coraggiosa, prova a giocarsela con chiunque. Nico Paz è un gioiello assoluto. Anche Fadera… Non lo conoscevo, ha addirittura tolto il posto a Da Cunha“.
Il primo flash del passato che le viene in mente pensando al Como?
“Purtroppo è un ricordo amaro per me. Nel 1982 pareggiammo contro un Como che arrivò ultimo e quel passo falso alla fine ci costò lo scudetto. Ricordo gli spalti pienissimi e quello stupendo scorcio di lago che si intravede e che dà sempre uno sfondo un po’ letterario. Avete il fascino della città frontaliera magari un po’ ‘contaminata’ dall’ordine e dalla professionalità mitteleuropei“.
Como-Fiorentina sarà anche la partita di Stefano Borgonovo e Luis Oliveira. Che per Firenze significano molto e per Como ancora di più.
“Ma guarda, Oliveira aveva questa allegria sudamericana, giocava col sorriso. Borgonovo è altro: compose la BB, l’unione tra la magia rinascimentale di Baggio e il senso del gol di Borgonovo. Una parentesi meravigliosa. Poi abbiamo anche visto il lato tragico di questa amicizia. E quella serata al Franchi con Roberto che spinge la carrozzina di Stefano noi fiorentini non la dimenticheremo mai. Negli occhi di Borgonovo vedemmo una luce quasi ‘argentina’, un’allegria paradossale per un ragazzo così sofferente che però in quel momento era felice: ci ha toccato nel profondo“.
A proposito di centravanti, domenica vi ritroverete di fronte due ex, Belotti e Cutrone. Opinioni su di loro? Quale gol dell’ex le darebbe più fastidio?
“Se proprio mi dicessero che deve segnare uno dei due, spererei Cutrone: mi ha lasciato qualcosa in più da tifoso. Diciamo che nessuno dei due ha fatto bene a Firenze. Segnavano poco ma spesso venivano applauditi per aver dato tutto. Erano un po’ dei centravanti ‘medianati’, pochi gol ma sempre generosi. Però mi fa piacere che Cutrone abbia scelto la squadra della sua città e giochi con una luce negli occhi diversa. Ha fatto una scelta di cuore: non ci avrei scommesso, invece sembra un giocatore rinato. Le ragioni del cuore nel calcio contano. Belotti invece paga ancora quella scelta sciagurata di lasciare Torino, tradendo un po’ una città che lo amava“.

Lei apprezza i numeri 10 d’altri tempi. Nico Paz e Gudmundsson le piacciono?
“Sì. Gudmundsson a Firenze ci ricorda molto Hamrin, è anche molto finalizzatore. Paz invece è un Magellano: esplora tutto il campo scoprendo sempre territori nuovi. Ecco, Gudmundsson è l’uomo che ‘sbarca’, Nico è l’uomo che circumnaviga. Sono totalmente innamorato di Paz, lo avrei voluto anche al fantacalcio. E’ un campione in itinere, non fa mai giocate banali, vuole sempre il pallone e credo abbia anche diversi gol nei piedi. Forse è il giovane più interessante che c’è in A“.
Vado su un altro suo amore: le bandiere. Noi abbiamo Gabrielloni, sempre presente dalla D alla A. Potrebbe entrare nel suo podcast?
“E’ una bellissima storia di calcio, un bomber di periferia che continua a segnare in tutte le categorie a dispetto delle gerarchie. Tra l’altro sta giocando quasi più di Belotti“.
Come vede gli Hartono? Società ricca, che investe come i mecenati anni ’90 e che fa anche tanto per il territorio e per la beneficenza, ma che punta parecchio sul riempire lo stadio di turisti, anche VIP, sull’intrattenimento, e tiene la squadra un po’ lontana dalla tifoseria, allenamenti a porte chiuse, eccetera.
“Io sono contrario ai fondi d’investimento perché se il calcio diventa solo calcolo, perde sé stesso. Nel caso del Como c’è di più, mi pare ci sia anche un’ambizione personale della proprietà. Però sospendo il giudizio, per così dire, per capire se alla proprietà interessi più avere un posto nella storia della città di Como o se gli interessi di più avere Hugh Grant allo stadio. Io per esempio sono scettico su Commisso, perché da una parte non posso dirgli nulla a livello di risultati, dall’altro però deve esserci anche identificazione col territorio. Io sono dell’idea che il presidente dovrebbe essere quello che fin da bambino ha la foto sul comodino di Borgonovo o di Antognoni“.
Lei è critico verso molti aspetti del calcio moderno. Qual è – tra le tante – la prima cosa che cambierebbe?
“Cambierei l’approccio verso il trovare risorse. Anziché cercare di avere sempre un euro in più dalle TV, io farei di tutto per avere uno spettatore in più allo stadio in ogni partita. Se passa l’idea che il calcio sia soltanto uno spettacolo televisivo, il calcio muore. E nelle categorie inferiori vedo stadi desolatamente vuoti, dobbiamo tornare a riempirli“.