Fàbregas, la mente dietro al Como: da Wenger a Guardiola, il calcio come eredità

Nella seconda parte dell’intervista esclusiva, l’allenatore catalano racconta l’influenza dei suoi maestri, la sfida tattica in Serie A e il suo possibile futuro tra Como e nuove tentazioni

Nella seconda parte dell’intervista rilasciata dall’allenatore del Como ai colleghi de Il Corriere dello Sport il giovane tecnicno catalano apre parlando di Arsène Wenger che è stato il suo primo grande riferimento, e oggi Cesc Fàbregas ne riconosce l’impronta in ogni dettaglio della sua visione calcistica. «Mi scrive dopo ogni partita. Era un precursore: parlava con tutti, curava ogni giocatore, anche l’ultimo della rosa. Moderno nel linguaggio e completo nella gestione», racconta il mister lariano, che oggi unisce l’eredità dei suoi grandi maestri a una gestione innovativa e dettagliata del gruppo.

Sul piano strettamente tattico, invece, il riferimento assoluto resta Pep Guardiola. «Lavorava moltissimo sulla tattica, mostrava sempre nuove soluzioni. Ma anche lui aveva bisogno di interpreti speciali per esprimere le sue idee: Xavi, Iniesta, Messi, Puyol…». Da Wenger, però, Fabregas ha tratto un’altra lezione fondamentale: l’importanza dei giocatori funzionali al sistema, più che delle stelle. «Non cercava sempre i migliori, ma quelli giusti: Rosicky, Van Persie, Debuchy, Reyes…».

La Serie A si è rivelata un banco di prova stimolante per la sua evoluzione come tecnico. Il Napoli è la squadra che gli ha creato più problemi tattici: «Antonio ha cambiato formazione più volte durante il match per disturbarmi. È stato molto bravo. Per ogni sua modifica, dovevo trovare una risposta immediata». Altro avversario complesso? Gasperini. «Per la prima volta ha difeso a quattro. Ha inserito Brescianini come quinto a sinistra e ci ha messo in difficoltà».

Alla base del lavoro di Fabregas c’è un’attenzione maniacale allo studio dell’avversario. Un suo collaboratore si occupa in modo esclusivo di ogni singolo giocatore, con un approccio personalizzato che valorizza e responsabilizza. «Il nostro analista guarda sei partite degli avversari, io ne studio due o tre. Devo capire come possiamo colpirli».

Quanto al futuro, l’unica certezza per ora è la priorità al Como. «Ho bisogno di una pausa a fine stagione prima di sedermi a parlarne. Ma la gestione quotidiana qui è stabile, anche nei momenti difficili. Conte mi ha insegnato che l’unico fondoschiena a rischio è quello dell’allenatore, sempre». Un’apertura che lascia intendere il desiderio di continuare, ma anche la consapevolezza delle opportunità in arrivo.

Infatti, ammette senza esitazioni di aver ricevuto telefonate da altri club. «È normale, ci sono squadre che cercano un tecnico o un giocatore. Succede ovunque. Pensi che Simeone non sia mai stato contattato?». Smentisce, ma non troppo, le voci su un possibile approdo alla Roma, pur confermando un contatto in passato, durante i suoi momenti difficili al Chelsea con Conte. «Parlai con Monchi per la Roma e con Gazidis per il Milan. Mi volevano entrambi».

Il legame con l’Italia era scritto. Anche Ancelotti cercò di portarlo al Napoli. «Lo incontrammo per caso in un ristorante. Quando mi strinse la mano, fu diretto: “Sei pronto per venire da me?”».

Oggi, Fabregas è una figura già centrale del nuovo calcio europeo: giovane, studiato, comunicativo, e profondamente radicato nei valori dei grandi con cui ha lavorato. Un allenatore che ha scelto di costruirsi, partendo da Como, una carriera non meno ambiziosa di quella da giocatore.

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