La direzione è ben chiara: contaminare sempre di più il calcio, togliergli identità, renderlo un business senz’anima che però fa guadagnare tutti tranne quelli che il business lo mandano avanti, cioè i tifosi. E allora abbiamo il Milan che gioca con la maglia del Portogallo, abbiamo le “squadre B” in Serie C, abbiamo addirittura tre coppe europee delle quali non si capisce il senso sportivo, abbiamo la Supercoppa in Arabia e nel prossimo futuro potremmo addirittura avere alcune partite di Serie A negli Stati Uniti. Nelle scorse ore ne ha parlato l’illuminato presidente della Lega Serie A, Simonelli, in missione a New York: “Noi ci crediamo e vogliamo essere i primi in Europa a farlo”.

La motivazione è sempre la stessa: soldi. Soldi che però vanno a finire nelle tasche di presidenti, dirigenti, intermediari, giocatori, allenatori. Gli spettatori invece ci perdono sempre: DAZN aumenta ogni anno di più, i biglietti per lo stadio anche, il merchandising pure. E in futuro potrebbero persino ritrovarsi impossibilitati a rispettare tutte le 19 partite del proprio abbonamento, perché si va a giocare in America.
Una follia totale, anche considerando i chiari di luna che sentiamo a livello di politica estera. Ma lasciamo perdere questo. Il problema è probabilmente che il calcio italiano in un certo senso non esiste più. Siamo zeppi di proprietà straniere, gli imprenditori italiani disposti a spendere soldi nel pallone sono ormai una rarità. E le proprietà straniere, avendo zero attaccamento ai colori, alla storia, all’identità del club – gli Hartono sono una bellissima eccezione – pensano ai bilanci, ai fatturati, a tutto meno che allo sport. Perché nello sport vero una squadra di Milano gioca le partite casalinghe a Milano, non a Miami. Nello sport vero la COPPA DEI CAMPIONI la giocano i club campioni, non i quinti classificati.
Tutto il resto è una deriva pericolosa. Perché ok, giochiamo una partita negli USA perché porta soldi. Ma se ne abbiamo fatta una, perché non due o tre? E perché solo negli USA? Giochiamone due o tre anche in Cina, altre due o tre in Brasile, altre due o tre in India, così esploriamo anche quei mercati. Aspetta, ho un’idea, Facciamo iscrivere al campionato italiano un US Team, sai che ascolti in America? Oppure cambiamo nome alle squadre, la Fiorentina la chiamiamo Philadelphia, il Bologna lo chiamiamo Boston, l’Atalanta – ovviamente – Atlanta.
Non si riesce a capire che, ok cercare il profitto, ma deve esserci un limite oltre il quale non andare. Perché se tutto ha un prezzo, la vita diventa molto triste. E poi: siamo sicuri che sarebbe davvero conveniente? Ora gli americani sono interessati alla Serie A anche perché è un torneo storico, con identità; ciò che è lontano e irraggiungibile affascina sempre. Quanto perderemmo in termini di credibilità e immagine andando a dire loro: “Veniamo anche a giocare da voi, basta che ci pagate bene”? Ma soprattutto: quanti tifosi italiani si distaccherebbero di fronte a una notizia simile?
Aggiungiamo una cosa. Questa idea viene dalla Lega di Serie A. Ma la Lega rappresenta le società e fa ciò che chiedono le società. Quindi sono i presidenti a voler portare le partite negli USA. Possibile che le curve italiane non dicano nulla di fronte a questa volontà dei LORO presidenti? Noi nel nostro piccolo da queste colonne lo diciamo forte: Mirwan, il campionato italiano deve giocarsi in Italia!
Per fortuna il presidente della FIFA Infantino si è già detto contrario a idee balzane come questa. Speriamo non cambi idea.