Il sito ufficiale del Como ha intervistato Mërgim Vojvoda che si è raccontato a 360°. Ecco gli stralci più interessanti:
Il terzino 30enne ripensa al suo arrivo sul Lario, con Fabregas protagonista: “Sono arrivato qui da infortunato e volevo davvero ripagare la fiducia: non tutti sceglierebbero un giocatore non ancora guarito, mi ha fatto davvero piacere. Ero pronto a firmare un nuovo contratto quadriennale col Torino. Ma il ds non era ancora stato confermato… Nel frattempo abbiamo giocato contro il Como a Torino. A metà partita, Cesc mi ha fermato nel corridoio e mi ha detto: ‘Vuoi venire da noi?’ Io ho pensato: ‘Eh?’ E lui mi ha chiesto: ‘Ti piace come gioco?’ Gli ho risposto: ‘Sì, sinceramente mi piace.’ Mi ha detto che mi voleva dal momento in cui era arrivato. E io pensavo si riferisse all’estate, così gli ho detto: ‘Vediamo.’ Poi mi sono infortunato al polpaccio. Intanto, il direttore sportivo del Torino è stato confermato e mi ha detto che voleva continuare con me… ma onestamente non ero più convinto. Perché avevo rischiato, giocando gli ultimi sei mesi senza contratto. E penso che, se mi fossi fatto male seriamente, non sarebbero venuti a rinnovarmi. Questo mi ha raffreddato un po’. Due giorni prima della chiusura del mercato, mio fratello—che è anche il mio agente—mi ha chiamato: ‘Andiamo al Como.’ Gli ho risposto: ‘OK, per l’estate?’ E lui: ‘No, adesso“.
Un netto cambio di stile di gioco e mentalità: “Al Torino l’allenatore apprezzava il mio gioco palla al piede, ma il sistema era più conservativo. Qui giochiamo a quattro dietro, più offensivo… Il mister vuole che teniamo il pallone, che lavoriamo tecnicamente, e questo ci permette di spingerci in avanti. Fabregas ha una grande personalità ed è una persona davvero gentile. Si impara molto. È uno stile molto spagnolo: ti insegna a muoverti, giocare veloce, guardare prima di ricevere. Mi piace toccare la palla, quindi questo modo di giocare mi aiuta tantissimo a crescere. Questo club ha un’anima diversa, si percepisce chiaramente che vogliono davvero fare qualcosa di grande. Il fatto che arrivino giovani da Barcellona e Real Madrid, ma anche gente esperta come Sergi per cui vincere è la normalità, e poi le infrastrutture, il nuovo stadio… Tutto dimostra che c’è grande ambizione di far crescere il club“.
Il ragazzo cresciuto in Belgio ripensa anche al resto della sua carriera: “Se qualcuno mi avesse detto, da bambino a Liegi, che avrei giocato più di 130 partite in Serie A non ci avrei creduto. Ma ho sempre creduto in me stesso. Ho scelto la strada difficile—prestiti, una stagione nella quarta divisione tedesca—ma sapevo che ce l’avrei fatta lavorando duro. Sono orgoglioso del mio percorso. E solo perché ho 30 anni, non significa che sia finita. Prima del Torino dovevo andare all’Atalanta, ma lo Standard chiese troppo. Poi ci furono colloqui con Maldini per un passaggio al Milan. Non si è fatto. E due anni fa, era quasi tutto fatto con il Napoli. Ma dopo che hanno vinto lo scudetto, è cambiato tutto. Sono andati via allenatore e direttore sportivo. Così sono rimasto a Torino e penso di aver fatto bene“. E riguardo alla Nazionale kosovara, parentesi importante nel suo calendario: “Abbiamo una buona generazione che sta crescendo. Vogliamo qualificarci per un grande torneo ma serve tempo. Stiamo ancora costruendo una cultura calcistica. Ma penso di aver dato il via a quella storia. E adesso stiamo scrivendo cose belle”.